martedì 29 gennaio 2019

Visita guidata notturna alla Torre di Campolato (Arce, FR)


Itinerari del giorno. Perché la visita è una esperienza unica

 Ciao ragazzi, oggi per la rubrica “l’itinerario del giorno” ExpressTour vi presenta qualcosa di davvero molto particolare, una esperienza che abbiamo vissuto il 31 ottobre 2018 (la “notte di Halloween” per intenderci). L’Ass. Culturale ViviCiociaria (http://www.viviciociaria.com/) ha organizzato questo evento, io (Matteo Zagarola) ho curato la visita guidata.

Non parlerò della storia del sito, già in parte affrontata su un altro articolo, ma di una visita, anzi di una esperienza particolare, innovativa, unica che abbiamo organizzato.

Innovazione. È questo il mantra che ripetiamo in continuazione con Alex Vigliani, presidente di ViviCiociaria. Innovazione. Il motore del turismo. Siamo ad Arce, provincia di Frosinone, frazione di Sant’Eleuterio. La quattrocentesca torre di Campolato si staglia da secoli a controllare il passaggio del fiume Liri. Visitatori da tutto il mondo hanno ammirato il sito, ma riuscite ad immaginare l’atmosfera che si crea durante una visita notturna?

Da qui l’idea di strutturare una visita guidata serale, al lume delle torce. Sembrava di essere tornati all’epoca in cui la torre era ancora viva ed utilizzata, sembrava che da un momento all’altro un soldato in cotta di maglia dovesse apparire da dietro l’angolo, sembrava davvero di far parte della storia.

Ad onor del vero l’idea di visitare la torre di notte era stata già messa in pratica qualche anno fa durante un evento chiamato l’Incendio della Torre, durante il quale si ricordava, attraverso la rievocazione storica, l’incendio della torre e del borgo di Campolato da parte delle truppe dell’imperatore Corradino di Svevia. Una atmosfera unica, con armati medievali che si aggiravano per il sito, ed io che negli abiti di un soldato di guarnigione della torre illustravo ai visitatori la storia della torre. Fu qualcosa di incredibile.

Ma io, anzi noi, cerchiamo sempre qualcosa in più. La manifestazione può essere organizzata una volta all’anno, al massimo. Noi vogliamo un format che ci permetta di accompagnare visitatori tutto l’anno, incuriosire le persone sempre, creare un vero sistema di valorizzazione e fruizione lungo tutto l’arco dell’anno. E qui torniamo alla innovazione.

Abbiamo preso spunto da quella manifestazione. Mi diletto qualche volta di archeologia sperimentale. Lo scopo delle mie visite guidate è renderle interattive, cioè far partecipare attivamente i visitatori. Essi non sono lì ad ascoltarmi passivamente, ma sono loro i protagonisti dell’esperienza. Perché in quel luogo allora non affrontare altri temi, legati comunque alla torre?

Ecco quindi un excursus sulle tecniche di tortura del medioevo, mostrando alcune riproduzioni di strumenti dell’epoca. E perché non affrontare il tema della medicina, così spesso confusa con la stregoneria. Su un tavolo quindi abbiamo esposto gli strumenti del medico medievale, strumenti battuti a mano in ferro da un fabbro di fiducia sotto la mia supervisione e dopo attente ricerche storico-iconografiche.

Un tuffo nel medioevo, grazie all’atmosfera creatasi ed agli strumenti esposti, che i visitatori potevano (e dovevano!) toccare, per comprendere davvero il loro utilizzo, il loro peso. Ascoltare e basta è… stancante, diciamocelo, ma soprattutto a volte non permette di comprendere a pieno una storia. Esempio ne sono alcuni strumenti di tortura: far provare la sensazione dello “schiacciatesta” permette in pochi secondi di comprendere a pieno ciò che un condannato avrebbe provato.

Una visita guidata interattiva dunque, notturna, al lume delle torce, coniugando storia, archeologia sperimentale, torture, medicina, e degustazione finale offerta dai ragazzi dell’associazione. Una esperienza davvero incredibile.

L’itinerario che ExpressTour propone oggi è proprio questo: la visita alla Torre di Campolato in notturna! Per gli amanti della storia, della natura e...del brivido! Di sicuro riproporremo qualcosa di simile, nel frattempo se l’articolo vi ha incuriositi andate a guardarvi le foto scattate quella sera (https://www.facebook.com/alex.vigliani/media_set?set=a.10217647686408586&type=3), e per qualsiasi informazione sulle visite guidate alla torre potete contattarmi all’indirizzo matteo.zagarola@gmail.com

Grazie alle ragazze e ai ragazzi di ViviCiociaria, e soprattutto ad Alex Vigliani (https://www.facebook.com/alex.vigliani) che appoggia le mie “follie turistiche” (e per le magnifiche foto che scatta mentre il sottoscritto parla!)


mercoledì 23 gennaio 2019

Castrum Coeli: un castello e un borgo dalla storia millenaria sul Monte Asprano (Colle San Magno, FR)

Uno dei tramonti più belli della Ciociaria

Sulla sommità del monte Asprano, sconosciuto ai più, sorgono i resti Castrum Coeli. Il luogo è sicuramente più noto per il tradizionale pellegrinaggio (che ancora oggi vede coinvolte centinaia di persone) il giorno del Lunedì in Albis (Pasquetta), durante il quale due statue della Madonna partono una da Castrocielo ed una da Colle San Magno per visitare la chiesa di Santa Maria Assunta in Cielo, che proprio sulla sommità dell’Asprano è ubicata.
del castello e del borgo fortificato di

Ma perché un rituale così particolare? Perché da due paesi diversi, due statue distinte, si inerpicano sul sentieri faticosi per raggiungere la vetta della collina? Historia magistra vitae diceva qualcuno. Andiamo a scoprirla.

Le prime tracce di frequentazione della sommità dell’Asprano sono da collocare all’epoca preromana. Come molti altri luoghi d’altura della Ciociaria, importantissima in quel periodo sia dal profilo economico che strategico, anche questa vetta viene fortificata e diventa un luogo forse di difesa, sicuramente di avvistamento. Il panorama che si gode da qui infatti è incredibile, ed ancora oggi lascia senza fiato: si spazia dall’alta Ciociaria a tutta la valle del Liri, fino al massiccio di Rocca Monfina, fino al Golfo di Napoli. Incredibile ammirare da qui, lontano lontano, la forma inconfondibile di Ischia. Proprio per sfruttare questa posizione privilegiata dunque il sito viene fortificato, ed ancora oggi è visibile qualche lacerto di mura in opera poligonale (le cosiddette mura megalitiche o ciclopiche).

Le notizie storiche sono scarne, ma si può facilmente ipotizzare che durante il periodo romano il sito non abbia ricoperto un ruolo fondamentale per il territorio, anzi. Ruolo di rilievo che invece riacquista durante il Medio Evo: con l’abbandono progressivo delle pianure e la “fuga” verso le alture anche la sommità dell’Asprano viene di nuovo abitata, e proprio qui nasce il borgo di Castrum Coeli. Un borgo non facile da raggiungere, che domina la valle del Liri ma intorno al quel mancano campi coltivabili e, soprattutto, acqua. Per sopperire alla mancanza di acqua verranno costruite diverse cisterne, alcune delle quali ancora conservate.

Ma seppur con queste problematiche Castrum Coeli è troppo importante per la difesa del sud Italia. Un primo castello deve essere stato costruito durante l’alto Medio Evo, ma è con l’imperatore Federico II di Svevia che il luogo assume la forma che ancora oggi è riconoscibile. L’imperatore infatti ordina la ricotruzione del castello e delle fortificazione, a testimoniare l’importanza strategica che lo stesso Federico dava a questo sito.

Le condizioni di vita nel borgo però dovevano essere difficili, ed ecco perché nel corso dei secoli (tra il XIII ed il XVI secolo) esso viene progressivamente abbandonato. Gli abitanti fonderanno Cantalupo, la frazione più antica di Colle San Magno, il “Colle”, da cui Colle San Magno, e Castrocielo, chiamata precedentemente Palazzolo.

È per ricordare questa antica unione che il lunedì di Pasqua si celebra questo rito: gli abitanti dei due borghi, ormai separati da secoli, si rincontrano sulla vetta per ricordare la loro appartenenza ad un unico, ormai abbandonato, luogo: Castrum Coeli.

Ancora oggi sono ben visibili i resti del borgo antico, case diroccate, una chiesetta, le mura cittadine con le loro torri, il tutto condito da una vegetazione lussureggiante, che uniti al panorama ne fanno un luogo unico al mondo. Il periodo migliore per visitarlo è sicuramente marzo, il periodo di fioritura dei mandorli: ce ne sono a decine, e vedere la collina ed i resti medioevali ricoperti da fiori è qualcosa di indescrivibile. La parte più maestosa conservata è senza dubbio il mastio, sulla punta più alta della collina, da cui si gode una vista mozzafiato, ed una torre costruita con vista sul castello di Roccasecca, quasi a voler controllare l’altro castello.

Un luogo da non perdere assolutamente per gli amanti del trekking, della storia, della natura e della fotografia, perché è davvero unico. Se volete godervi uno dei tramonti più affascinanti della Ciociaria, avete trovato il luogo adatto.


Per qualsiasi informazione, per visite guidate e commenti il mio indirizzo è matteo.zagarola@gmail.com

Grazie all’amico Alex Vigliani per la magnifica foto!

domenica 20 gennaio 2019

La Chiesa di San Tommaso (Roccasecca, FR)

Uno dei luoghi più affascinanti della Ciociaria

Tommaso d’Aquino muore il 7 marzo 1274, dopo aver scritto alcuni dei testi più importanti della cristianità. Doctor Angelicus, così era chiamato. Venne canonizzato nel 1323 dal pontefice Giovanni XXII, pochissimi anni dopo la sua morte dunque. Evento questo abbastanza particolare, considerata la lunghezza del processo di canonizzazione, ma che deve essere stato accorciato di molto proprio per l’altissima considerazione che tutti avevano di Tommaso.

Proprio nel luogo della nascita di Tommaso la sua venerazione era più forte; un territorio legato alla religiosità, all’ascetismo, alla meditazione, in cui Tommaso già era considerato santo, ben prima della sua reale canonizzazione. Ed è qui, a Roccasecca, che immediatamente dopo l’evento del 1323 inizia la costruzione della prima chiesa dedicata al Santo.

Non abbiamo date certe riguardanti la costruzione della chiesa, ma di certo i lavori iniziano subito dopo il 1323 (anno di canonizzazione di Tommaso) e non devono essere durati troppo a lungo. Ubicata sul monte Granaro (una delle pendici del massiccio del monte Asprano) a dominare la valle del Liri, a metà tra il borgo medievale (frazione Castello) e le rovine del castello dei Conti d’Aquino, è costruita in calcare locale ed è la prima chiesa al mondo dedicata a San Tommaso d’Aquino.

La chiesa nel corso dei secoli viene inglobata in un complesso monasteriale domenicano, di cui era il fulcro. Ciò che si presenta oggi agli occhi del visitatore è la somma degli eventi storici degli ultimi secoli: il complesso è stato distrutto durante i bombardamenti della seconda Guerra Mondiale, ed anche la chiesa ha subito notevoli danni. Ricostruita nel dopoguerra, viene rimaneggiata più volte, ma ancora presenta alcune parti originali: dall’esterno è difficile intuire che si tratta di una struttura fortemente ricostruita. Anche il campanile è, in larga parte, quello antico. L’interno invece risalta per l’intonaco bianco, chiaramente moderno.

L’arco centrale, a sesto acuto, anche se ricostruito, divide a metà la chiesa, tra la parte dedicata ai fedeli e la parte del presbiterio. Sulla sinistra dell’altare si apre una nicchia in cui ancora è conservato un magnifico affresco quattrocentesco della Madonna con Bambino. Affresco di particolare interesse, perché avvicinandosi ci si accorge che gli strati finali di pittura sono andati perduti e quindi è venuta alla luce la preparazione con le linee guida e i vari contorni poi bocciati dall’artista. Un unicum, un work in progress che ci fa capire il modo di lavorare, i colori utilizzati, la tecnica di un artista del ‘400.

Gli affreschi interni, su cornici mobili, non sono gli originali di questa chiesa, ma provengono da un’altra frazione di Roccasecca: provengono infatti dalla chiesetta benedettina di San Pietro e Campea. Situata nella omonima frazione, è oggi purtroppo andata completamente perduta, anche se fortunatamente gli affreschi medievali sono stati staccati e sono preservati all’interno della Chiesa di San Tommaso. Di particolare pregio, sono forse il fiore all’occhiello delle decorazioni di questa chiesa.

Praticamente nulla rimane invece del monastero adiacente, eccetto qualche lacerto di muro qui e là. Restaurate invece le mura cittadine trecentesche che si trovano a pochi metri dalla chiesa, cinta su cui ancora sono ben visibili torri, porte e, a volte, perfino le merlature antiche.

Un luogo assolutamente da non perdere, da cui si gode un panorama davvero incredibile.

Grazie all'amico Alex Vigliani per la magnifica foto! 

Per altre foto ed informazioni visitate il sito internet https://www.roccaseccaturismo.it/localita-chiesa-di-san-tommaso

Per informazioni varie e visite guidate il mio indirizzo è matteo.zagarola@gmail.com

venerdì 18 gennaio 2019

Turismo in Ciociaria: perché scegliere una guida turistica professionista

Perché scegliere una guida turistica professionista quando si può prendere un "volontario"? 

Continuiamo oggi a parlare di turismo, affrontando un altro tema scottante: il turismo e la professionalità. E qui scoperchiamo un vero vaso di Pandora.

Prendersi cura di un visitatore a 360 gradi è lo scopo di chiunque lavori nel settore turistico. Soprattutto in un mondo sempre più dominato dalla tecnologia, dai social media, da Trip Advisor, è di fondamentale importanza la “recensione positiva”. La metto un po’ sullo scherzo, ma la realtà è questa: senza recensioni non si campa. Mi spiego meglio: lo scopo dell’addetto del settore turistico è (o dovrebbe essere) rendere l’esperienza del visitatore indimenticabile e magnifica, tanto da volerla condividere con gli altri e magari, perché no, far venire la voglia di sperimentarne una simile. Una recensione, un hashtag, una foto su Instagram, un tweet, sono oggi uno dei veicoli più potenti di comunicazione e pubblicità turistica.

Con questo non voglio certo dire che tutte le recensioni siano oro colato: alcune sono di certo senza senso, ma lo scopo è cercare di rendere l’esperienza del visitatore quanto più bella possibile.

Per un territorio che non ha certo una vocazione turistica forte come la Ciociaria è quindi di primaria importanza ottenere dalla rete una buona pubblicità, anche perché è il modo più veloce per far crescere il numero di visitatori. E di certo la visibilità e la buona pubblicità non si ottengono improvvisandosi, ma attraverso professionisti: dal ristoratore al curatore delle pagine web, dall’accompagnatore all’autista, dal pubblicitario alla guida turistica. Tutti gli attori del circuito turistico devono necessariamente essere professionisti. O dovrebbero. Ma cosa succede davvero nella realtà?

La realtà dei fatti non è sempre così “professionistica”, anzi non lo è quasi mai. Uno dei limiti e dei peggiori ostacoli al voler fare turismo in Ciociaria è proprio la mancanza di professionalità, soppiantata da una approssimazione ed improvvisazione degna delle migliori commedie comiche (da notare l’uso del termine “comico” mutuato dalla commedia greca). A volte infatti queste situazioni ci fanno sorridere, ma è un sorriso amaro, perché ognuno di noi nel proprio intimo sa che non è questo il modo corretto di agire.

Scommetto che a tutti è capitato almeno una volta di finire in una situazione tragicomica, partecipando ad un “evento culturale”: situazioni che possono essere le più disparate, ma di sicuro ciascuno di noi ha pensato, almeno una volta nella vita: “ma chi diavolo me l’ha fatto fare di venire?”

Certo la giornata storta può capitare a chiunque, non tutte le ciambelle escono con il buco e non tutti gli eventi escono bene. Ma alcune situazioni sarebbero evitabili. Sono evitabili. Basta che siano le persone giuste ad occuparsene. E qui iniziano i problemi.

Parliamo di visite guidate, il mio campo di lavoro. La guida è, per buona parte del tempo che un visitatore passa in un luogo, la “faccia” dell’azienda con cui lavora, del territorio che lo ospita, delle persone con cui entra in contatto. Non è solo “quello che parla e racconta la storia del posto”, ma è il vero anello di congiunzione tra il visitatore, il luogo e l’esperienza che si vive. Non basta quindi essere ferrati in storia dell’arte o archeologia per soddisfare un cliente. Ed ecco che entra in gioco la professionalità: essere una guida turistica professionista significa dover far i conti tutti i giorni con tali problematiche ed avere la preparazione necessaria per affrontarle e soddisfarle, preparazione acquisita con lungo studio, tirocinio, affiancamenti, esperienza pluriennale sul campo, certificati da un titolo abilitativo alla professione riconosciuto a livello legale in Italia e nell’Unione Europea.

Troppo spesso però sono stato testimone (e sicuramente anche voi) di eventi e tour guidati che non prevedevano affatto questa figura professionale nel team di operatori. Già la cosa è quantomeno da evitare (se non condannare) quando si tratta di eventi estemporanei, organizzati magari per feste e festicciole locali e che hanno un respiro culturale limitato, ma quando questa pratica viene portata avanti con turisti e visitatori che hanno fatto centinaia, migliaia di chilometri, la situazione è davvero critica.

Mi spiego meglio. Ogni evento culturale ha una progettazione, che dovrebbe partire da uno scopo da raggiungere. E qui nasce il primo problema: si è consci dello scopo? Far conoscere un luogo e valorizzarlo attraverso visite guidate (per un giorno, una settimana, un anno) dovrebbe essere lo scopo dell’organizzazione di determinati tipi di eventi. Dovrebbe, perché invece molte volte le motivazioni sono altre: ad esempio la volontà di mettersi in mostra (a livelli diversi) che crea solo un danno, compromettendo l’organizzazione e creando una situazione caotica e di incertezza.

Perso di vista il reale scopo quindi i problemi vengono a catena: come svolgere le attività? A chi affidare la progettazione di queste attività? A chi affidare le visite guidate?

Domande che spesso trovano risposta a caso. Anzi a volte trovano la risposta sbagliata: facciamolo fare a Tizio perché è forte in storia. Oppure: lo fa Caio perché lo fa spesso. Sorvoliamo sul discorso legale\retributivo (parliamo di lavoro nero senza abilitazione…totalmente abusivo) e soffermiamoci solo sulla parte più “etica”. Trovo questo modo di agire una mancanza di rispetto e una presa in giro bella e buona nei confronti dei visitatori ed anche dei tanti professionisti del settore. Ai turisti si da una impressione sbagliata, quella di un turismo raffazzonato, improvvisato, non professionistico, che danneggia il settore sotto molti punti di vista, dalla cattiva pubblicità alla esperienza negativa vissuta in prima persona dal cliente, per arrivare (caso estremo lo so) a problemi legali connessi alla mancanza di una qualsiasi assicurazione professionale: e se qualcuno scivola e si fa male? Cosa si fa? Il professionista ha la sua assicurazione, gli altri invece?

È una cosa intollerabile poi per chi ha scelto questa professione per sopravvivere. La faccio molto spiccia: le guide come me sono liberi professionisti, quindi se non lavorano non pagano le bollette. Per ogni “volontario”, “abusivo” o “appassionato” che guida un gruppo ci sarà una guida che quel giorno non lavora e non fattura. Inizio dal fattore economico perché troppo spesso sento dire che mancano i soldi per organizzare eventi e visite e quindi si chiama l’appassionato locale che lo fa gratis. Senza voler sminuire i volontari e gli appassionati (spesso parliamo di storici locali che magari hanno anche una preparazione incredibile), mi piacerebbe sapere qual è il loro lavoro: hanno fatto un corso di abilitazione a guida turistica? Userò una frase che va tanto di moda: ci rubano il lavoro. E purtroppo è vero. È chiaro che conviene di più risparmiare il compenso per la guida e chiamare qualcun altro. È eticamente corretto? No, di certo no. La guida professionista ha una partita IVA, paga regolarmente le tasse ed i contributi, ha investito tempo e denaro per una laurea, per un corso di specializzazione e per l’esame di abilitazione, continua ininterrottamente la sua attività di formazione ed aggiornamento. Si può dire lo stesso degli improvvisati?

Anche nei confronti del cliente, cosa pensereste se la guida presentandosi vi dicesse “buongiorno sono un medico\avvocato\ingegnere\cardiochirurgo ma oggi vi faccio da guida”? Vi sentireste più tranquilli e stimolati se invece vi dicessero “sono un archeologo e guida turistica abilitata e professionista”? Vi fareste operare da un archeologo? O vi fareste difendere in tribunale da uno storico dell’arte? E allora perché per ciò che concerne la cultura ed il turismo è diverso?

Non mi sto scagliando contro i volontari ed i vari storici locali, attenzione: anzi li considero una grande risorsa per il territorio. Ma a ciascuno il suo: la guida è guida, il volontario non è guida. Sarebbe bello e utile invece “sfruttare” le loro capacità, affiancandoli alla guida magari, collaborando per rendere l’esperienza ancora più unica. Ma senza sostituirsi ad essa.

Pensate poi a come devono sentirsi gli operatori del settore che si vedono soffiare il lavoro in questo modo: anni di studio gettati alle ortiche. Costretti ad “emigrare” ed andare a cercare lavoro in luoghi più “sviluppati” turisticamente come Roma, impossibilitati ad iniziare un qualsiasi discorso legato al territorio anche a causa di questa problematica. Per non parlare della frustrazione nel vedere gruppi con guide improvvisate: cosa ho studiato a fare allora se tutti possono farlo? Perché ho speso soldi e tempo per la mia preparazione? Avessi scelto medicina invece di archeologia…

La guida costa, è chiaro. Costa la sua formazione, costa perché è professionista, costa perché ha scelto questo come lavoro. Purtroppo non molto spesso questa professionalità viene riconosciuta, e la cosa peggiore è che spesso sono gli stessi enti pubblici a perpetrare questa situazione paradossale. Poche sono le realtà che hanno scelto di lavorare correttamente, scegliendo solo guide turistiche abilitate oppure coadiuvate dallo storico locale\volontario di cui sopra. Una di queste realtà, con cui collaboro ormai da parecchio tempo, è l’Associazione Culturale ViviCiociaria di Frosinone. La loro scelta è stata coraggiosa, ma i frutti dell’ottimo lavoro che svolgono sono sotto gli occhi di tutti. Provate a dare un’occhiata alle loro manifestazioni… E infatti è sempre un piacere lavorare con loro.

Scegliere una guida abilitata, boicottare ed evitare le manifestazioni in cui figure professionali non sono contemplate, criticare questa situazione non significa fare ostruzionismo e criticare a prescindere ogni cosa che si organizza nella nostra zona, ma al contrario è un voler affermare che anche la Ciociaria non è seconda a nessuno, che anche in Ciociaria si può organizzare e vivere una esperienza di alto livello, che le eccellenze esistono, e che non vogliamo più essere spettatori di una cultura dell’improvvisazione che tanto male ci ha fatto e continua a farci. Basta con l’improvvisazione, scegliamo la professionalità.

Fateci sapere cosa ne pensate, aspettiamo il vostro pensiero!

Grazie ad Alex Vigliani per la foto magnifica della visita guidata a Minturnae (LT) con i soci dell'Associazione Culturale ViviCiociaria http://www.viviciociaria.com/

giovedì 17 gennaio 2019

La ricetta di M. Gavio Apicio: “l’hamburger” dell’antica Roma


MangiaAntico, il ricettario dell’antichità di ExpressTour: come erano le polpette degli antichi Romani?


Ciao a tutti, oggi volevamo proporvi un viaggio culturale diverso dal solito. Parleremo infatti di cibo, di certo una parte importante della cultura italiana, ed in particolare delle polpette. Dove nascono? Da quanto sono sulle tavole degli italiani? Quanto è differente la ricetta della mamma da quella degli antichi romani?

Le polpette sono uno dei piatti forse più amati dagli italiani, sfido chiunque a non mangiare polpette, di ogni forma e dimensione. Ne esistono decine di varianti: di carne, di pesce, dimensioni diverse, fritte, al sugo, in bianco, sferiche, geoidi, ellissoidi, piatte. Ecco, piatte: vi ricorda nulla una polpetta piatta, in un panino, con formaggio, insalata, pomodori eccetera eccetera? Esatto, proprio lui, il signor Hamburger! Cos’è infatti se non proprio una polpetta dalla forma diversa?

Tagliando la testa al toro quindi bypassiamo tutte le varie teorie sulla nascita dell’hamburger (dalla Germania agli Stati Uniti, Hamburg o Texas) è chiaro che stiamo parlando di un periodo storico ben 1700 anni successivo al momento in cui Marcus Gavius Apicius scrive il suo trattato “De Re Coquinaria” (“Il cucinare”), il primo ricettario della storia dell’uomo. Quindi, l’hamburger è una invenzione romana. Punto.

Perché parlare proprio di polpette? Semplice, mia madre ieri me ne ha preparate una quantità “da legione in partenza per una campagna ai confini del mondo” e dopo essermi rimpinzato volevo condividere la ricetta originaria delle polpette, gli hamburger dell’antica Roma. E poi era il modo migliore per parlare di Apicio.

Ma chi era davvero Apicio? Su di lui se ne leggono di tutti i colori: cuoco, gourmet, scialacquatore. Vediamo cosa c’è di vero. Le notizie storiche su di lui sono scarne (per usare un eufemismo) ed il poco che sappiamo di lui proviene da altri autori a lui contemporanei. Non voglio sbilanciarmi sulla sua data di nascita (possiamo azzardare un ultimo quarto del I sec. a.C.), ma di sicuro vive durante il periodo del principato di Tiberio, (14-37 d.C.). Ne parla Seneca, raccontando che il suo nome era Marcus Gavius Apicius, un uomo estremamente ricco quanto amante dei banchetti, del buon cibo e del buon vino. Talmente amante della buona cucina da aver sperperato quasi tutto il suo enorme patrimonio in banchetti, tanto da suicidarsi con il veleno appena appreso che le sue ricchezze si erano assottigliate a “soli” dieci milioni di sesterzi temendo di morire di fame in un futuro assai prossimo…

Quel che è certo è che il nostro Apicio aveva una villa a Minturnae (odierna Minturno, LT) e che adorava i gamberi di fiume del Liris (il Garigliano). Purtroppo non abbiamo molte altre notizie attendibili: alcune sembrano infatti ingigantite, altre si basano su aneddoti che sembrano avere qualche problema di attinenza alla realtà. Di sicuro ha scritto una sorta di ricettario antico, anche se la versione giunta fino a noi è, molto probabilmente, abbastanza diversa da quella originaria: già in epoca romana infatti è oggetto di aggiunte, tagli e cambiamenti vari, e i copisti medievali devono aver commesso errori e modifiche di ogni genere. È arrivata a noi la versione del testo della fine del IV secolo, che non sappiamo quanto fedele all’originale di Apicio possa essere (ha comunque ben 1600 anni abbondanti eh!).

Andiamo a leggere la ricetta. Riporto solo la traduzione in italiano per non appesantire l’articolo, ma la versione latina è facilmente reperibile anche su Google. Da notare la “Lucanica” e soprattutto… le polpette ripiene!!!

Libro secondo
1. POLPETTE.
Quelle marine si fanno di aragoste, di gamberi, di calamari, di seppie e di gamberi d'acqua dolce. Condirai la polpetta con pepe, ligustico, cumino e radice di laser.


Polpette di calamari:
tolte le branchie, le triterai sul tagliere come fai con la carne. Mescola, poi, con diligenza, la polpa nel mortaio con la Salsa e poi dai loro la forma di polpette.


Polpette di squille (Cancer Squilla) o di gamberi grossi (Palinurus Vulgaris, è l'arigusta):
togli la polpa dal guscio e pestala in un mortaio con pepe e ottima Salsa. Fanne polpette.
Come si rinvoltano nell'omento:
arrostisci del fegato del porco e togline le fibre. Prima, tuttavia, pesta del pepe, la ruta, la Salsa. Così fatto gettaci sopra il fegato e trita tutto. Mescola. Mescolerai il trito nell'omento come si usa fare con la polpa. Avvolgi ogni singola polpetta in una foglia d'alloro e sospendila al fumo per quanto tempo vorrai. Quando la vorrai mangiare toglila dal fumo e falla cuocere di nuovo.


Altro modo:
metti in un mortaio il pepe, il ligustico, l'origano e la maggiorana secchi; versaci sopra la salsa, aggiungi le cervella scottate e trita per bene in modo da non lasciar niente di tiglioso. Aggiungici cinque uova e mescola bene con la Salsa; rovescia il tutto in una padella di rame e cuoci. Quando sarà cotto, versa il composto sopra un tagliere ben pulito e taglia a dadi. Metti in un mortaio il pepe, il ligustico, l'origano ben tritati e mescolati. Falli bollire in un tegame. Quando avranno bollito pesta dei pezzetti di pasta (chi li chiama pane e chi schiacciata) e mescola al trito.
Versa nella zuppiera spargendo di pepe e servi in tavola.


Polpette di sfondili o Spugnole (una sorta di conchiglia:
Syphonddylus Gaedaropus o Phallus Esculentus):
trita gli sfondili lessati e privati delle fibre. Poi tritaci insieme della spelta lessata e mescolaci le uova e del pepe. Avvolgile nell'omento e arrostisci; cospargile di salsa di vino acida e servile come polpette.


Polpette avvolte nell'omento:
trita la polpa e mescolala a midolla di pane bianco (è il Triticus hibernum) imbevuta di vino. Pesta insieme pepe e Salsa, se vuoi, e bacche di mirto prive di semi. Forma delle polpettine mettendoci dentro pinoli e pepe. Copri con l'omento e cuoci nel mosto cotto.


2. ALTRE POLPETTE, SOMIGLIANTI A SALSICCE.


Polpette ripiene:
prendi grasso fresco di fagiano arrostito, induralo e fanne dadi che metterai nelle polpette insieme a pepe, salsa, vino dolce cotto. Cuoci il tutto in salsa allungata d'acqua e servi.


Polpette con salsa allungata:
trita il pepe, il ligustico, poco pirero (Anthemis Byrethrum), mescola con Salsa cui avrai aggiunto acqua di cisterna. Vuota un tegame (pignatta) e mettilo al fuoco con le polpette. Riscalda e le darai da sorbire.


Per fare polpette di pollo:
prendi 110 gr di fior d'olio (è quello che stilla per primo dal frantoio); 90 gr di Salsa e 15 gr di pepe.


Altro modo, sempre di pollo:
trita 31 gr di pepe, metti in un calice di ottima Salsa, altrettanto di mosto cotto, 2 bicchieri di salsa e poni il tutto al vapore del fuoco.


Polpette semplici:
per una misura di salsa, prendine 7 di acqua, poco sedano verde, un cucchiaio di pepe tritato. Cuoci insieme le polpette e così ti scioglieranno il ventre. Alla salsa allungata aggiungerai i sali già preparati.


Polpette di pavone:
per prima cosa sappi che fritta la carne perderà la sua durezza. Al secondo posto stanno le polpette di fagiano; al terzo quelle di coniglio; al quarto quelle di pollo e al quinto quelle di lattonzolo.


Polpette di amido:
trita pepe, ligustico, origano, poco silfio, poco zenzero, poco miele. Tempera la salsa, mescola e versala sulle polpette. Fai bollire. Quando tutto sarà ben bollito lega con amido denso e dai da sorbire.


Altro modo:
trita del pepe messo ad ammollare il giorno prima; ad esso aggiungerai la salsa in modo che venga un intriso ben pestato e spesso. A questo unirai dello sciroppo di cotogne che abbia raggiunto, al sole cocente, densità come il miele. Se non l'hai, adopera sciroppo di fichi (quelli della Caria esaltati da Plinio) che i Romani chiamano colore. Prendi poi infuso d'amido e succo di riso e cuoci il composto a fuoco lento.


Altro modo:
spremi il succo da ossicini di pollo e metti in un tegame dei porri, dell'aneto e del sale. Quando saranno cotti, aggiungi pepe, seme di sedano e riso ammollato e ben tritato insieme alla salsa e al passito o mosto cotto. Mescola il tutto e aggiungi alle polpette.


Per fare l'ammorsellato:
lessa della spelta con pinoli e mandorle pulite e ammollate in acqua e lavate con argilla da argentieri perché possano diventare candide. Mescola al tutto uva passa, vino dolce cotto o passito, spruzzaci sopra del pepe tritato e porta in tavola nel vaso.


3. VULVETTE (o Ammorsellati) E SALSICCIOTTI.
Per fare delle vulvette come se fossero polpette sminuzza la polpa di due porri senza buccia ammollati, unisci del pepe tritato e del cumino, ruta e Salsa. Pestato ancora il composto perché si possa ben amalgamare, mettici grani di pepe e pinoli e batti in un mortaio pulito. Cuoci con acqua, olio, Salsa, un mazzetto di porri e d'aneto.


Salsicciotti:
con sei tuorli d'uovo cotti e pinoli tagliuzzati amalgama cipolla e porro tagliati e brodo crudo; unisci pepe tritato e mescolando il tutto riempi un pezzo di budella. Aggiungi Salsa e vino e cuoci.


4. LUCANICHE.
Si trita il pepe, il cumino, la santoreggia, la ruta, il prezzemolo, le spezie, dolci, alcune coccole d'alloro e la Salsa. Mescola il tutto con polpa sminuzzata; pesta di nuovo il composto con la Salsa, pepe intero, molto grasso e pinoli. Insacca in budella allungandolo per quanto è possibile. Poi sospendilo al fumo.


5. RIPIENI.
Trita le uova e le cervella con pinoli, pepe e Salsa, poco laser e con ciò riempi un budello. Lessa. Arrostisci. Servi.


Altro modo:
cuoci della spelta e tritala. Aggiungi della polpa sminuzzata e pestala con pepe, Salsa e pinoli. Riempi il budello e lessalo. Puoi arrostire col sale e servire intero con la senape; oppure tagliati a fette.


Altro modo:
purga della spelta e cuocila nel brodo degli intestini e uniscila al bianco dei porri tagliati fini. Prendi la poltiglia, taglia del grasso e dei bricioletti di carne. Mescola tutto insieme. Pesta del pepe, del ligustico e tre uova. Mescola tutto nel mortaio con pinoli e pepe intero. Bagna con la Salsa. Riempi un budello, lessalo e arrostiscilo oppure puoi solo lessarlo. Servi in tavola.


Cerchietti d'ammorsellato:
riempi il budello con un composto di ammorsellato e arrotondalo. Ponilo al fumo. Quando si colora in rosso, scottalo e coprilo di salsa acida di fagiano cui avrai aggiunto del cumino.


Allora cosa ne pensate? Vi è venuto un certo languorino? Preparerete qualcuno di questi piatti? Fatecelo sapere, aspettiamo una vostra recensione correlata da una foto del piatto! 


Eremo di Sant'Angelo in Asprano




Tour suggestivo della Chiesa Sant'Angelo in Asprano, meta affascinante della Ciociaria.


Impropriamente chiamato “Eremo di San Michele”, la chiesetta rupestre di Sant’Angelo in Asprano si staglia sullo sfondo del borgo di Caprile, una delle frazioni di Roccasecca (FR), sul pendio del Monte Asprano. Si ubica in un luogo estremamente suggestivo, in un riparo sottoroccia alle pendici di una parete rocciosa sulla quel si staglia il castello dei Conti D’Aquino di Roccasecca, qualche decina di metri più in alto. Negli anni la tradizione ha attribuito a questa chiesetta il termine di Eremo per la sua posizione al di fuori del borgo, al termine di un sentiero non proprio semplicissimo; la dedica a San Michele deriva invece dall’affresco che si trova nella prima stanza, sulla sinistra, rappresentante l’arcangelo Michele, con la sua lancia, probabilmente nell’atto di uccidere un mostro vicino ai suoi piedi, immagine tipica della rappresentazione di Michele (purtroppo la parte inferiore è andata perduta). 

In realtà la chiesetta era utilizzata come lazzaretto e luogo di sepoltura per i malati del borgo di Caprile, mansione che ha ricoperto fino alla metà dell’800. Di sicuro è frequentato almeno dall’epoca longobarda, e la sua continuità di vita è impressionante: le decorazioni interne coprono vari secoli, dall’alto Medioevo al rinascimento. Nell’abside un affresco dell’XI\XII secolo, in cui viene rappresentato il Cristo benedicente in mandorla, con angeli e la Madonna, e gli apostoli, di gusto bizantineggiante. Se già un affresco di questo periodo è da considerare incredibile, ciò che si trova al di sotto lo è ancora di più: un distacco di una parte dell’affresco ha messo in luce un affresco più antico, dell’VIII\IX secolo, in cui si riconosce una santo la cui identità è però purtroppo sconosciuta. Un dato importantissimo che ci lascia intendere che già in quel periodo la chiesetta era uno dei punti di riferimento delle comunità locali. 

Ma ciò che rende questo luogo davvero incredibile è una altro affresco, conservato oggi nella medievale chiesa di Santa Maria delle Grazie nel centro del borgo di Caprile (di cui parleremo in un altro articolo!): questo affresco (purtroppo frammentario, ma bel leggibile) rappresenta la Crocifissione, ma in una veste completamente inedita ed unica al mondo. Gesù intanto è coperto da una tunica, mentre il soldato Longino calza le ciocie, calzatura tipica di questa parte del Lazio meridionale! E sempre Longino non tiene una lancia, come di solito si trova, ma una fune. Parliamo quindi di artisti locali, di una Crocifissione “Ciociara” per così dire, tanto unica quanto misteriosa.

Spero che la vostra curiosità sia stata solleticata, e perché no, vi sia venuta voglia di andare ad ammirare questo unicum mondiale, magari con una guida! Per info potete contattarmi via e-mail matteo.zagarola@gmail.com
A presto!

domenica 13 gennaio 2019

Eremo dello Spirito Santo, Roccasecca: natura meditazione storia.

ExpressTour all'eremo dello Spirito Santo a Roccasecca

Oggi vi presentiamo questa nuova rubrica, “l’itinerario del giorno”. È domenica, una bella giornata, voglia di fare una passeggiata ma non sapete dove andare: ci pensiamo noi a risolvere il problema! In questa rubrica presenteremo vari itinerari, da fare in poche ore, oppure che occupano una giornata intera, percorsi e luoghi che, di sicuro, non vi verrebbero mai in mente!

Iniziamo con un itinerario che proprio oggi abbiamo percorso con gli amici dell’associazione culturale ViviCiociaria (www.viviciociaria.com): da Roccasecca al millenario eremo dello Spirito Santo.


Un po’ di storia. Roccasecca è famosa nel mondo per essere il luogo natale di San Tommaso d’Aquino, per il castello che domina il borgo, ma non certo per l’Eremo dello Spirito Santo (o della Santissima Trinità). Un luogo conosciuto e molto frequentato dai locali, ma non molto conosciuto tra i “turisti”. L’Eremo nasce probabilmente alla fine del primo millennio dell’era cristiana in una grotta a picco sulle gole del fiume Melfa, come luogo di raccoglimento e preghiera, in un periodo storico in cui il monachesimo ascetico ed anacoretico si sviluppavano anche nella media Valle del Liri. Ancora oggi si può percepire il misticismo che pervade il luogo, luogo che di certo favorisce la pace e la meditazione.


Il tempo totale della visita è di circa 3 ore, il percorso è adatto a tutti e presenta una difficoltà bassa. Sono fortemente consigliate scarpe da trekking. Si sconsiglia vivamente di affrontare la visita durante i mesi estivi o in giornate molto calde.

La partenza dell’escursione è via Roma, impropriamente chiamata Piazza Longa, luogo centrale della vita di Roccasecca, con parcheggi, luoghi di ristoro e bar. Piccolo excursus: non si può passare da Roccasecca senza assaggiare la tipica “Sfogliatella Roccaseccana”: dolce tipico che ricorda vagamente quella napoletana, ma di consistenza e sapore completamente diverso, con molto cioccolato all’interno al posto dei canditi, un MUST di questa terra, che si può trovare proprio nei locali di via Roma! Da via Roma si parte in direzione ovest proseguendo fino al Cimitero cittadino, per poi prendere l’incrocio con la SP 7, il “Tracciolino”. Dopo circa 800 m una curva ci fa affacciare sulle Gole del fiume Melfa, e lo spettacolo che ci si para dinanzi è davvero mozzafiato: il fiume con le acque dal colore smeraldino unico al mondo, la valle del Liri sulla sinistra, l’Eremo nostra destinazione abbarbicato sulla parete rocciosa, varie grotte carsiche dal colore rossiccio, una vegetazione lussureggiante. 

Dopo aver scattato una foto di rito, proprio in piena curva, imbocchiamo il sentiero che scende sulla sinistra con le indicazioni per raggiungere l’Eremo. Al termine del sentiero svoltiamo a destra, attraversiamo il ponte sul Melfa (ponte ricostruito dopo essere stato distrutto dalle truppe Tedesche durante la guerra) e svoltiamo subito a destra. Proseguiamo per circa 20\25 minuti lungo un sentiero brecciato che ci conduce fino all’Eremo.

L’eremo è diviso in tre parti: la chiesetta, la parte anticamente adibita ad orto, e l’Eremo vero e proprio. Salendo fino in cima, il corpo centrale è completamente scavato nella roccia: celle degli eremiti, letti, cisterne, tutto rigorosamente in calcare, a testimoniare una vita di sacrifici e privazioni. Incredibile il sistema di canalizzazione delle acque: attraverso una sorta di tubatura (calcarea) l’acqua che percolava dalla volta della grotta veniva, anzi viene raccolta (ancora perfettamente funzionante!) e condotta ad una piccola cisterna interna.

Un luogo adatto alla meditazione, in cui l’unico suono che si sente è il soffio del vento e il rumore del fiume sul fondo della gola. Siamo a pochi minuti da Roccasecca, ma la caotica vita di tutti i giorni ci sembra quantomai lontana. Una passeggiata che coniuga storia, religione, ma anche (e forse soprattutto) natura: il panorama che si gode lungo il sentiero, dall’Eremo, valgono da soli la scampagnata. E se poi siete fortunati, vi potete anche imbattere nella...transumanza delle mucche in pieno centro cittadino!

Sedendosi lì, ascoltando solo la voce del vento ed i propri pensieri, non si può non pensare a coloro che hanno vissuto questo posto, e un tantino invidiarli: hanno potuto godere di uno spettacolo unico.

Per informazioni potete contattarmi all'indirizzo matteo.zagarola@gmail.com

E voi, cosa ne pensate? Ci siete mai stati? Vale la pena visitare un luogo del genere? Fateci sapere!