giovedì 10 gennaio 2019

Turismo e valorizzazione: quanto siamo ignoranti e non conosciamo i nostri territori




Il turismo in Ciociaria ha potenzialità enormi, noi dobbiamo essere i primi a crederci.


Torniamo dopo la pausa natalizia per trattare un argomento spinoso: il turismo e la valorizzazione, tema dibattuto e che ancora non ha trovato una vera e propria soluzione. Iniziamo con una panoramica sul turismo, con un focus sulla valle del Liri. Finalmente sembra che la valorizzazione di alcune zone della Ciociaria stia iniziando a muovere i primi passi, passando attraverso proposte di fruibilità dei siti e del territorio che mirano ad attirare visitatori non solo da fuori, ma anche (e soprattutto) locali. Uno step che a mio modo di vedere era (ed è) obbligato: come si può parlare di itinerari, valorizzazione, fruizione, turismo, se la quasi totalità della popolazione del territorio pensa “ma la gente che viene a vedere qui?”.

Imprescindibile quindi far conoscere il territorio a chi lo abita, a chi lo vive ogni giorno; far loro apprezzare la bellezza che racchiude, le unicità che lo contraddistinguono dal resto del mondo. Io dico basta: basta pensare “che ci si viene a fare qui”, basta pensare “ma Roma è più bella” o “io vado a visitare quel posto o quell’altro lontano milioni di chilometri tanto qui non c’è niente che valga la pena vedere”.
Purtroppo è un retaggio del passato, quando un po’ tutto il Lazio meridionale, ma in particolare la Ciociaria, veniva visto come luogo arretrato, popolato da ignoranti, brutto, degradato e chi più ne ha più ne metta, quando il termine “ciociaro” era usato in senso spregiativo, e ci si faceva beffe dell’accento “ciociaro”. 

I mass media, la televisione soprattutto, attraverso film, programmi televisivi (spesso di dubbio spessore culturale, a voler esser buono) e cronaca nera hanno lasciato nell’immaginario collettivo una idea completamente distorta di queste zone. Purtroppo ancora oggi chiedendo in giro a “non-indigeni” se conoscono la Ciociaria, quelli che ne hanno sentito parlare nella maggior parte dei casi associano i paesi a fatti di cronaca nera, o, nella migliore delle ipotesi, al Frosinone Calcio. Sto semplificando? Forse. Ma vi possiamo assicurare che fino ad ora chi ha risposto riferendosi alla Ciociaria come terra di San Tommaso d’Aquino, oppure dei Monasteri di San Benedetto, o almeno terra di attori del calibro di De Sica e Mastroianni, si contano quasi sulla punta delle dita.

Forse sto calcando un pochino la mano. Forse. Ma è desolante, davvero, sapere che nella maggior parte dei casi un italiano sappia a mala pena dell’esistenza dell’abbazia di Montecassino e di (almeno) una parte della sua storia, quella legata alla seconda Guerra Mondiale, mentre tra gli stranieri con cui lavoro a Roma Montecassino è, in moltissimi casi, un luogo storico importantissimo nella loro mente. Ormai quando mi chiedono il mio luogo di origine rispondo “vicino Montecassino”, e nell’80% dei casi capisco che ho colto nel segno: riescono più o meno a dare una collocazione geografica, o quantomeno storica, al posto. Provate a fare lo stesso con un italiano.

Ma qui chiaramente entrano in gioco diverse cause, che non starò a disquisire, perché non è questo lo scopo di quest’articolo. Ciò che è davvero aberrante però è il fatto che nemmeno chi abita a poche decine di chilometro da Montecassino (continuo ad usare questo esempio) conosca l’abbazia o l’ha visitata. La si conosce di nome. Forse.

Spesso, davvero troppo spesso, mi sono imbattuto in persone (specifico: di cultura medio-alta) che non conoscono affatto il territorio, che non hanno mai visitato le zone in cui vivono, che non hanno idea di cosa si nasconda nei siti che li circondano. Però hanno visitato le piramidi del Messico. Molti di loro restano affascinati dalla scoperta di alcune perle che hanno a pochi chilometri, molti altri invece non si pongono affatto il problema della conoscenza. Anzi si riempono la bocca dei soliti luoghi comuni, senza andare a controllare se corrispondano o meno a verità.
Troviamo poi una buona fetta di “intellettuali modaioli” che magari hanno visitato tutte le mostre di fotografia in giro per l’Europa (è solo un esempio di una tipologia di arte che sta andando di moda, adoro la fotografia artistica, trovo sia molto emozionante, sia ben chiaro) ma magari non hanno mai “avuto tempo” di visitare il sito archeologico a tre chilometri da casa. Il sito archeologico non è “alla moda”. Non parliamo delle visite guidate, che Dio ce ne scampi e liberi, un paio d’ore ad ascoltare un tizio che parla… non è affatto alla moda.

Per fortuna alcune istituzioni, associazioni culturali, persone di gran coraggio, stanno portando avanti progetti proprio per sensibilizzare e far conoscere le bellezze agli “indigeni”, i primi fruitori e i primi che gioverebbero da un corretto “uso” di questi beni.

Iniziare un percorso di sviluppo turistico del territorio significa prima di tutto far conoscere il territorio ai suoi abitanti. È una reazione a cascata che porta benefici in ogni ambito: conoscere ed amare la propria terra significa non gettare la spazzatura ai bordi delle strade ad esempio, voler evitare di vedere le colline bruciate dagli incendi, assaporare i piatti tipici locali, fare una passeggiata per uno dei borghi della zona. Non tutti gli aspetti sono riconducibili al turismo, è chiaro, ma credo che tutti vorremmo vivere in un luogo meno inquinato, meno sporco, più curato, senza cumuli di immondizia. 

Il turismo è solo una conseguenza di tutto ciò. E tutte queste belle cose partono da un unico punto: conoscere ed amare il territorio.

Grazie all'amico Alessio Calcagni per la foto. 

Per chiunque volesse può seguirmi sulla mia pagina Facebook ExpressTour2 e contattarmi per visite guidate.

Ditemi cosa ne pensate 

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